Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 25 nr. 220
estate 1995


Rivista Anarchica Online

Post-strutturalismo e anarchismo
di Todd May

La teoria politica post-strutturalista è anarchica? In questo approfondito saggio Todd May risponde affermativamente. E spiega perché.

Vorrei dire qualcosa sulla funzione di ogni diagnosi sulla natura del presente. (...) Qualunque descrizione deve sempre concordare con quelle specie di fratture virtuali che aprono gli spazi di libertà intesi come uno spazio di libertà concreta, cioè di cambiamento possibile (1)

Michel Foucault

...ovviamente un'intera serie di vittorie parziali e incomplete, di concessioni ottenute da coloro che detengono il potere, non sarà sufficiente a portare a una società anarchica. Ma amplierà la portata del libero agire e il potenziale di libertà nella società che abbiamo (2)

Colin Ward

La difficoltà nel valutare la filosofia politica dei post-strutturalisti francesi - Foucault, Deleuze e Lyotard in particolare - è inseparabile dalla difficoltà nel comprendere quale sia la loro filosofia politica generale. Che essi abbiano rifiutato il marxismo come resoconto adeguato della nostra situazione sociale e politica, è cosa chiara. Ma con cosa lo abbiano sostituito è ancora oggetto di controversie. Ciò è dovuto al fatto che, invece di offrire una teoria politica generale, i post-strutturalisti ci hanno fornito analisi specifiche di situazioni concrete di oppressione. Dalla "Storia della follia" di Foucault a "Il differendo" di Lyotard, la loro attenzione si è accentrata sulla follia, la sessualità, la psicoanalisi, il linguaggio, l'inconscio, l'arte, ecc. ma non su un resoconto unitario di cosa sia la politica o delle modalità di una sua conduzione nel mondo contemporaneo.
Questa assenza, o rifiuto, di una teoria politica generale ha portato alcuni critici ad accusare i post-strutturalisti di relativismo normativo autofrustrante o direttamente di nichilismo (3). La domanda che tali critici pongono è: se i post-strutturalisti non sono in grado di offrire una teoria politica generale che includa sia un principio di valutazione politica che una serie di valori che forniscano il fondamento di una critica, le loro teorie non scadono di conseguenza ad una decisione arbitraria o, ancor peggio, a puro caos? Il presupposto su cui si basa una tale domanda è che al fine di potersi adeguatamente impegnare nella filosofia politica, è necessario innanzitutto possedere una serie di valori, che siano generalmente accettati, oppure che possano essere difesi facendo ricorso a dei valori accettati. E' quindi indispensabile formulare la propria filosofia politica ricorrendo a tali valori e fondamenti. Infine, sarebbe necessario confrontare la situazione politica presente con quella formulata, al fine di aiutare a comprendere i difetti del presente e i possibili itinerari per giungere a un rimedio di tali difetti (4).
La sfida che viene posta al post-strutturalismo è quella di offrire un resoconto di se stesso come pratica politica teorica. Si tratta di una sfida alla quale non è possibile rispondere secondo i criteri delle due tradizioni che hanno definito lo spazio della teoria politica nel corso del ventesimo secolo: il liberalismo e il marxismo. Ambedue queste tradizioni sono state respinte dai post-strutturalisti. Vi è però una tradizione, pur non menzionata dai post-strutturalisti, all'interno della quale il loro pensiero può essere situato ed essere così meglio compreso e valutato. Questa tradizione è la negletta "terza via" della teoria politica: l'anarchismo.
L'anarchismo viene spesso archiviato secondo gli stessi criteri applicati per il post-strutturalismo e cioè per essere un relativismo etico o un caos volontarista. Ma la tradizione teorica dell'anarchismo, anche se non altrettanto voluminosa di quella del marxismo o del liberalismo, fornisce un contesto generale nell'ambito del quale il pensiero post-strutturalista può essere situato ed essere così valutato in maniera più adeguata. La parte che segue del presente articolo si propone di giungere a considerare il post-strutturalismo come una forma contemporanea di anarchismo. Verrà discussa in primo luogo la tradizionale posizione anarchica. In secondo luogo, verrà presa in considerazione la critica post-strutturalista di alcuni concetti del diciannovesimo secolo che stanno alla base della letteratura anarchica. In terzo luogo, si abbozzerà un anarchismo libero da tali concetti e più consonante al pensiero politico france contemporaneo, vale a dire un anarchismo post-strutturalista. In questo abbozzo, verrà mostrato come tale anarchismo sia libero dai problemi che viziano quello che potrebbe essere definito come un teorizzare politico "fondazionista", del tipo descritto sopra.

Dal basso e da diversi punti
Nel conflitto tra Marx e Bakunin, che ha contraddistinto la Prima Internazionale, erano in questione sia il metodo che i fini dell'organizzazione del proletariato contro la borghesia (5). Secondo l'opinione di Marx, era necessaria l'esistenza di una dirigenza centralizzata che coordinasse la lotta. Lo scopo della lotta, inoltre, avrebbe dovuto essere quello di conseguire la proprietà statale dei mezzi di produzione da parte dei proletari. Tutto ciò, per Bakunin, era incompatibile con gli obbiettivi dei lavoratori e avrebbe portato inevitabilmente a una nuova struttura politica repressiva. "Poiché ci dovrà essere un potere politico, ci saranno inevitabilmente soggetti, in guisa, è vero, di cittadini nel più schietto senso repubblicano, ma tuttavia sempre soggetti e in quanto tali costretti a obbedire, perché senza obbedienza nessun potere è possibile" (6). Quel che Bakunin trova errato nella politica di Marx, sia nella sua strategia che nei suoi scopi, è l'idea di rappresentazione come concetto politico. Là dove c'è rappresentazione, c'è oppressione. L'anarchismo può essere definito come la lotta contro la rappresentazione nella vita pubblica.
La rappresentazione, come concetto politico, è la trasmissione di potere da un gruppo di persone a un'altra persona o a un altro gruppo di persone, all'evidente fine di vedere realizzati gli interessi dei primi. La rappresentazione politica differisce da quella amministrativa, che non richiede trasferimenti fondamentali di potere, ma semplicemente una delega delle capacità amministrative. Nella rappresentazione amministrativa, un gruppo dà a un individuo o a un altro gruppo il potere di mettere in atto programmi specifici o mezzi specifici per conseguire uno scopo generale; il gruppo rappresentante può essere destituito o revocato in qualsiasi momento e tutte le decisioni finali sono di competenza del gruppo rappresentato. La rappresentazione politica, invece, richiede un trasferimento di potere decisionale dal rappresentato a colui che lo rappresenta (7). L'individuo, o il gruppo, rappresentante, agisce in nome, e pertanto con la legittimazione, del gruppo rappresentato; le sue decisioni non possono essere ribaltate dal gruppo rappresentato.
Il pensiero anarchico non ha fiducia nella rappresentazione politica perché considera la cessione di potere come un invito all'abuso. In questo senso, non sono solo il potere statale o quello economico a essere oggetto della sua sfiducia, bensì tutte le forme di potere esercitate da un gruppo su di un altro. Nell'ambito della tradizione anarchica, il concetto di politica e il contesto politico sono più ampi di quanto non lo siano nell'ambito del marxismo o del liberalismo. Per Bakunin, i due ordinamenti di potere fondamentali contro i quali è necessario lottare (oltre ai capitalisti) sono, come indicano le sue opere maggiori, lo stato e la chiesa (8). A questi, gli anarchici venuti dopo di lui hanno aggiunto i dirigenti industriali, il patriarcato e l'istituzione del matrimonio, le carceri, la psicoterapia e una miriade di altre oppressioni (9). Pertanto, in tutte le aree della vita sociale di un individuo, l'anarchismo promuove un'adozione delle decisioni consensuale e diretta, invece che una delega di autorità.
L'adozione diretta di decisioni lungo i vari registri della vita sociale di una persona, consente un approccio più decentralizzato all'intervento politico rispetto a quanto non consente il marxismo. Per quest'ultimo, sebbene vi sia tutta una serie di pecche sociali che possono, strettamente parlando, non essere riducibili alla struttura economica capitalista, è pur sempre il capitalismo che fonda la loro possibilità. Alla fine c'è un solo intervento che conta: l'intervento per riappropriarsi del plusvalore attraverso la conquista dei mezzi di produzione e la presa di possesso dello stato. Il marxismo, indipendentemente da quanto abbia appoggiato le lotte contro il razzismo, il sessismo, ecc., le ha sempre viste come strategicamente subordinate alla lotta per il socialismo economico. Ed è per questo che si presta a forme centralizzate di lotta e di rappresentazione politica, in pratica al leninismo, come propria espressione strategica. Come gli anarchici hanno fatto notare, e come la storia ha reso evidente, tali mezzi non vanno tenuti separati dai loro fini. La dittatura del proletariato si è rivelata essere, sopra ogni altra cosa, soprattutto una dittatura. "E' pertanto diventato evidente che un ulteriore progresso nella vita sociale non va cercato nella direzione di un'ulteriore concentrazione di potere e di funzioni regolative nelle mani di un'entità governante, ma nella direzione della decentralizzazione, sia territoriale che funzionale" (10). Territoriale e funzionale. Sia nella strategia, che nei fini. Il vero cambiamento politico viene dal basso e da diversi punti, non dall'alto e da un centro. "L'alternativa anarchica è quella della frammentazione, della fissione piuttosto che della fusione, della diversità piuttosto che dell'unità, di una massa di società diverse piuttosto che di una società di massa" (11).

Capacità naturale
L'anarchismo, quindi, si concentra sugli oppressi stessi e non su coloro che affermano di parlare per loro. E vede l'oppressione non solo in un tipo di situazione, ma in tutta una varietà di situazioni irriducibili. Per avere una comprensione dell'oppressione è necessario descrivere la situazione in cui essa è localizzata; non esiste alcunché di definibile come una classe che è oppressa a priori in tutte le situazioni. Qui l'anarchismo dimostra una resistenza non solo alla riducibilità, ma anche, più in generale, all'astrazione. "Proclamando la nostra moralità di eguaglianza, o anarchia, rifiutiamo di arrogarci un diritto che i moralisti hanno sempre rivendicato per sé, quello di mutilare l'individuo in nome di qualche ideale" (12). Quello a cui l'anarchismo si oppone sono i diversi modi in cui l'individuo diventa subordinato a qualcosa che gli, o le, è esterno. La rappresentazione da parte di un gruppo o di un altro individuo è una forma di tale subordinazione. La rappresentazione dell'umanità di una persona per mezzo di un ideale ne è un'altra. Che si tratti del "bene", o della "marcia della storia" o dei "bisogni della società", l'anarchia sospetta degli ideali la cui funzione è quella di costringere gli individui a subordinarsi a una causa più grande di loro.
Ciò non significa, tuttavia, che l'anarchia sia individualista nel senso liberale o moralmente edonistica. L'individualismo liberale ha sempre affermato di dare più valore alla libertà che a un'eguaglianza imposta, ritenendo che quest'ultima richieda degli inutili vincoli per la prima. Nella tradizione anarchica, però, non ha alcun senso parlare di libertà senza qualche nozione di eguaglianza. "Libertà senza eguaglianza significa che il povero e il debole sono meno liberi del ricco e del forte ed eguaglianza senza libertà significa che siamo tutti schiavi insieme" (13). La libertà non è giuridica, è materiale; non è definita da come una persona viene trattata secondo la legge, ma dalle concrete scelte che si possono fare nelle situazioni in cui ci si trova. Nonostante esista una tradizione di anarchismo individualista (14), le sue idee vanno contro le analisi anarchiche dell'oppressione concreta che si verifica in tutta una serie di contesti concreti. L'anarchia, fondamentalmente, non è un liberalismo fattosi selvaggio.
Non è nemmeno una forma di amoralismo. Rifiutando di sottomettersi a un ideale di "bene", l'anarchismo non rifiuta la moralità. Esso afferma invece che, sostenendo un ideale al quale gli individui debbano subordinarsi, si agisce in realtà contro l'intuizione morale del rispetto per gli altri. Il rifiuto di un ideale morale avviene proprio per motivi morali. Il "bene" non è altro che un altro modo per rappresentare la gente a se stessa, per mezzo di qualcosa che le è esterno. Invece di fare affidamento sulle proprie intuizioni morali e sulla propria capacità di riflettervi in situazioni irriducibilmente concrete, si chiede agli individui di sottomettesi a un ideale che pretende di realizzare la loro natura più alta, ma che in realtà li disgiunge dalle proprie capacità di riflessione critica e di azione ponderata. Se si vuole che gli individui siano in grado di agire moralmente, bisogna permettere loro di considerare le situazioni nelle quali si trovano nella loro specificità e materialità, e non spingerli a sottomettersi a una formula astratta che viene imposta alle situazioni dall'alto.
E' qui che si trova l'a-priori dell'anarchismo tradizionale: la fede nell'individuo. Fin dalle sue origini, l'anarchismo ha trovato il proprio fondamento nella fede che l'individuo possa concretizzare moralmente ed efficacemente il proprio potere di decidere (15). La più chiara formulazione contemporanea di questa fiducia è quella che viene dall'anarchico Murray Bookchin (16). Se lasciati fare di testa loro , gli individui rivelano di possedere la capacità naturale - nei fatti una propensione - di ideare soluzioni sociali allo stesso tempo giuste ed efficaci. E' solo in situazioni di ineguaglianza, situazioni nelle quali si consente ad alcuni individui di avere potere sopra altri, che le capacità individuali vengono deformate e indirizzate verso l'oppressione, invece che verso il rispetto reciproco e la creatività. "E' caratteristica del privilegio e di ogni posizione privilegiata, quella di uccidere la mente e il cuore degli uomini" (17). In questo senso, la caratteristica comune che contraddistingue tutte le istituzioni che opprimono - politiche, economiche, religiose, patriarcali o di altro tipo - è la repressione del potenziale individuale. Quantunque l'oppressione si verifichi su tutta una serie di fronti e in una moltitudine di modi diversi, tutte le sue varianti hanno in comune la caratteristica di limitare l'azione, di ridurre le possibilità di scelta individuali. Si dipinge, naturalmente, una parodia dell'anarchismo, quando si afferma che esso promuove il caos dell'edonismo per sovvertire il monolite del potere statale; ma è qui, nelle nozioni complementari di competenza individuale e di oppressione come repressione, che una tale affermazione trova le sue radici.

Disfarsi del soggetto
Ci sono, in superficie, numerose similarità tra il pensiero anarchico tradizionale e la teoria post-strutturalista. La critica della rappresentazione è un tema centrale dei post-strutturalisti. Deleuze ha detto una volta a Foucault: "tu sei stato il primo...a insegnarci qualcosa di assolutamente fondamentale: la indegnità di parlare per altri" (18). Decentralizzazione, agire locale, scoperta dl potere nei suoi vari reticoli piuttosto che nel solo stato, sono le caratteristiche che contraddistinguono le analisi dei post-strutturalisti. Tuttavia, se si dovesse caratterizzare il pensiero politico post-strutturalista con una sola sua proprietà, la scelta cadrebbe sulla critica dell'autonomia implicata dalla teoria del soggetto. Le storie della costituzione del soggetto scritte da Foucault, l'incrostazione del sociale negli interstizi del personale ad opera di Deleuze e Guattari e le analisi degli aspetti pragmatici del linguaggio che risultano determinativi per il pensiero, formulate da Lyotard, sono state prodotte, in parte, per denigrare il concetto di soggetto come entità autonoma, autofondantesi e trasparente a se stessa. L'a-priori dell'anarchismo tradizionale è un anatema per il post-strutturalismo.
A quanto pare, pertanto, le somiglianze tra anarchismo e post-strutturalismo si fermano alla superficie. Poiché cosa ne sarebbe dell'anarchismo senza l'autonomia individuale? E' l'autonomia che fonda la possibilità di un'azione dal basso, che contrasta la riduzione alla rappresentazione e che costituisce la dignità morale che l'astrazione e la rappresentazione offendono. Senza una fiducia nell'individuo, non ha alcun senso accusare i poteri istituzionali di reprimere l'individuo; senza un soggetto riconoscibilmente distinto dalla sfera sociale, non ha assolutamente alcun senso parlare di autonomia. L'anarchismo tradizionale si fonda sul concetto che l'individuo possiede una riserva che è irriducibile agli ordinamenti sociali del potere: eliminarla, o diluirla in un reticolo di pratiche sociali, preclude nei fatti la possibilità di una resistenza.
Eppure è proprio la negazione dell'esistenza, nell'ambito della soggettività, di una riserva che costituisca il luogo della resistenza, che i post-strutturalisti asseriscono. Foucault e Lyotard sono chiari a proposito. Foucault: "Tutte le mie analisi sono contro l'idea di necessità universali nell'esistenza umana" (19). Lyotard (in una recensione dell'Anti-Edipo di Deleuze e Guattari: "Andare alla ricerca del creditore [quello da cui il plusvalore è stato estorto e che si rivolterà per ottenerne il pagamento] è uno sforzo inutile, il soggetto del credito dovrà sempre essere fatto resistere, il proletariato dovrà essere incarnato sulla superficie del socius" (20). Deleuze è il più vicino all'anarchismo tradizionale; la sua affermazione che "c'è solo desiderio e sociale e nient'altro" (21) sembra prestarsi ad un'interpretazione dell'autonomia personale che si oppone alla repressione sociale. Ma, per Deleuze, il desiderio non è autonomia: è energia anonima che possiede un potenziale rivoluzionario solo in quanto eccesso sui vincoli che, in connivenza con il sociale, essa stessa crea e mantiene". Alla domanda "Come può il desiderio desiderare la propria repressione, come può desiderare la propria schiavitù?" noi rispondiamo che i poteri che schiacciano il desiderio, o lo soggiogano, fanno già parte essi stessi dei concatenamenti del desiderio" (22).
Perché la teoria politica post-strutturalista respinge il concetto di autonomia individuale, che è la prima pietra della teoria anarchica tradizionale? Foucault, Deleuze e Lyotard cercano il cambiamento sociale in misura non inferiore a quanto non lo cerchino gli anarchici. Ma se non fanno affidamento su di una riserva nell'ambito del soggetto che costituisca la fonte del cambiamento, dove la troveranno? Certamente non in un agente rappresentante esterno che essi unanimemente rifiutano. La rinuncia all'individuo o al soggetto autonomo come luogo di resistenza e la sua sostituzione con "qualcosa d'altro" costituisce il passaggio decisivo da un concetto di resistenza radicato nel diciannovesimo secolo a concezioni più attuali. Esso è parallelo agli altri cambiamenti che si sono verificati in altre aree della filosofia e che hanno portato, grazie all'attività teorica radicata nel soggetto, alla "svolta linguistica" e, più di recente, alla "svolta sociale" (23).
I motivi per disfarsi del soggetto come luogo di resistenza sono sia storici che concettuali. Storicamente la rivoluzione preannunciata da Marx non si è, almeno in Occidente, verificata. Questo fallimento è in parte dovuto al fatto che le classi operaie delle nazioni industrialmente sviluppate non sono, come Marx riteneva sarebbe avvenuto, andate sempre più immiserendosi. Tuttavia, la ragione del fallimento delle previsioni rivoluzionarie viene in parte ascritta alla capacità del capitalismo di manipolare la soggettività (24). La Scuola di Francoforte, per esempio, ha cercato di spiegare l'assenza di rivoluzioni facendo ricorso alla capacità del sistema culturale di assorbire ogni resistenza e con essa, ogni soggettività. Nel corso degli avvenimenti del maggio 1968 in Francia, gli studenti andavano affermando che il capitalismo contemporaneo crea uno spettacolo cui ciascuno è costretto a partecipare. In breve, la riserva di autonomia individuale è stata assorbita nei sistemi di oppressione e pertanto non è più adatta a formare la base di un cambiamento radicale.
La messa in questione dell'autonomia individuale, tuttavia, è più di un fatto storico. La filosofia del ventesimo secolo è giunta a concepire il soggetto come una entità soffusa di forze che in precedenza venivano considerate esterne ad esso. Si è rilevato come la str4uttura del sapere sia legata alla struttura del linguaggio e alle pratiche sociali e culturali di giustificazione: non è una caratteristica intrinseca della specie. Il comportamento viene considerato come più profondamente radicato nei contesti circostanti (indipendentemente dal fatto che si tratti di rinforzi sociali o del teatro di famiglia inconscio) di quanto non si ritenesse in precedenza. A questi cambiamenti il post-strutturalismo ha aggiunto una critica dell'umanesimo che preclude un ritorno al soggetto come speranza della resistenza.

Psiche e potere
La critica post-strutturalista dell'umanesimo è fondata su due principi che si intrecciano: in primo luogo, il soggetto come tale è costituito in esteriorità e, in secondo luogo, il potere non reprime, anzi crea. In Foucault, la critica taglia trasversalmente dimensioni sia storiche che concettuali. Soprattutto nelle sue ultime opere, egli si occupa della questione di come il soggetto venga costituito nell'ambito di reti di sapere, che sono anche reti di potere (uno scisma, che Foucault definisce "potere/sapere"). Sorvegliare e punire, "una storia correlativa dell'anima moderna e del nuovo potere di giudicare" (25), dimostra come il discorso del sapere sulla psiche moderna sia anche una pratica di potere, tanto che ciò che è stato letto come un viaggio di scoperta scientifica può essere altrettanto facilmente letto come uno spiegamento sempre più sottile di tecnica disciplinare. Nel nesso tra scienza e disciplina viene costituito il soggetto in quanto tale. Al soggetto viene attribuita un'autonomia, un ambito di carattere individuale che si offre ai direttori delle carceri, agli psicologi, agli assistenti sociali, agli educatori e ad altri come materiale che deve essere plasmato in modelli socialmente accettabili. Soggettività e "normalizzazione" diventano termini corrispondenti con una relazione di implicazione diretta; l'interezza di ognuna delle due dipende dalla adeguatezza dell'altra. I primi volumi della Storia della sessualità di Foucault ampliano questi temi, utilizzando come loro punto di riferimento "l'interazione tra verità e sesso lasciataci in eredità dal diciannovesimo secolo" (26). I suoi studi offrono delle motivazioni storiche e allo stesso tempo politiche e concettuali per rifiutare la visione della soggettività come sito appropriato in cui situare la resistenza all'ordine attuale.
Deleuze si concentra maggiormente sull'energico che non sullo storico (27). Egli si preoccupa come gli anarchici, e più di Foucault, di trovare uno spazio di resistenza. Ma, come Foucault, egli rifiuta il concetto di soggettività, considerandola come costituita, piuttosto che come costituente. La sua analisi di questa costituzione prende la forma, nei due volumi di Capitalismo e schizofrenia, del dimostrare come il desiderio, uno strato energico produttivo che è "parte dell'infrastruttura" (28), può diventare auto-opprimente nella sua appropriazione da parte del campo sociale nel cui ambito esiste. Sotto il capitalismo, il meccanismo centrale dell'oppressione del desiderio consiste nella costituzione del soggetto attraverso il complesso di Edipo. L'operazione di Edipo è, per Deleuze e Guattari, storica piuttosto che antropologica; il suo esito, il soggetto moderno, contribuisce all'ordine sociale, anziché essere una forma di resistenza a esso. Scoprire la possibilità di una rivoluzione comporta abbandonare il soggetto e andare alla ricerca di itinerari alternativi, che Deleuze chiama "linee di fuga" (29) in cui incanalare il desiderio. Così la critica che Deleuze fa dell'umanesimo va in parallelo con quella di Foucault negando al soggetto la dignità della sua autonomia mediante un'analisi dei meccanismi attraverso i quali esso viene costituito per essere un soggetto.

Il differendo
Durante la maggior parte degli anni '70, Lyotard ha condiviso l'attenzione di Deleuze per l'energetica, obiettando solo che Edipo era un elemento irrilevante dell'analisi e che il capitalismo possedeva un proprio meccanismo energico di autodistruzione (30). Per lui il soggetto non era tanto pericoloso, quanto invece trascurabile; l'umanesimo era più irrilevante che insidioso. In opere più recenti, Lyotard si allontana dagli energici per occuparsi del linguaggio; il soggetto, tuttavia, rimane un argomento non preso in esame. Quel che viene analizzato ne Il differendo, sono gli aspetti pragmatici del discorso, che permettono ad alcuni discorsi di raggiungere un'egemonia, mentre altri vengono ridotti al silenzio. Al centro dell'analisi vi è qui la giustizia, che in un suo precedente libro, Solo un gioco, era emersa come elemento di particolare interesse per Lyotard, poiché egli era alla ricerca, in seguito all'esaurirsi delle metanarrative, del concetto (derivato da Aristotele) di "giustizia senza modelli" (31). Il differendo studia la pragmatica politica del linguaggio e sostiene che il discorso linguistico appare sempre nella forma di un genere, dotato delle proprie regole di stile, di dimostrazione e di successione. Nel suo esempio più pressante, egli prende in esame la negazione, da parte di Faurisson, del verificarsi dell'olocausto. Faurisson sostiene che, non potendo nessuno descrivere l'esperienza delle camere a gas partendo da esperienze di prima mano, non esiste alcuna prova del fatto che esse siano effettivamente state in opera o che abbiano ucciso qualcuno. Questo tipo di argomento viene definito da Lyotard un "differendo", "il caso in cui chi accusa viene spogliato dei mezzi di argomentazione e diventa per tale motivo una vittima" (32).
Per Lyotard, la dominanza di determinati generi di linguaggio cera vittime negando l'espressione propria di altri generi. La dominanza del genere scientifico è uno di tali generi creatori di vittime, le cui norme probatorie vengono utilizzate (o meglio, distorte) da Faurisson per negare le rivendicazioni degli ebrei di fronte alla storia. L'argomento alla base della preoccupazione di Lyotard per la pragmatica del discorso, è che deve esservi uno spazio creato per la proliferazione di generi diversi (e anche di tipo nuovo), se non si vuole che l'incommensurabilità propria dei diversi generi non sfoci in una vittimizzazione di chi parla. In questa sua preoccupazione, Lyotard mette a fuoco non l'autonomia del soggetto - che in tal caso non sarebbe altro che sostituire un altro genere dominante - ma il discorso stesso, le possibilità e i pericoli che si presentano in virtù della necessità degli eventi del discorso parlato. I generi di discorso creano mondi; allo stesso tempo, la dominanza di alcuni generi minaccia di condannare i mondi di altri all'oscurità e, in ultimo, alla non esistenza.

Trappola dell'umanesimo
Le analisi post-strutturaliste della conoscenza, del desiderio e del linguaggio, sovvertono il discorso umanista, su cui si fonda l'anarchismo tradizionale. Esse, inoltre, ritengono l'accento posto dall'umanesimo sull'autonomia e la dignità del soggetto come pericoloso (con l'eccezione di Lyotard, per il quale è il più delle volte irrilevante), perché riprenderebbe in maniera subdola i meccanismi essenziali dell'oppressione a cui cerca di opporsi. L'umanesimo è l'idea dominante del diciannovesimo secolo, e sia l'autonomia individuale che la soggettività sono i suoi concetti, che vanno rifiutati se si intende articolare una politica adeguata alla nostra epoca. Questa idea dominante e i suoi concetti non sono peculiari dell'anarchismo; essi costituiscono le basi sia del liberalismo, con la sua enfasi sulla libertà e sull'autonomia, che del marxismo tradizionale, incentrato com'è sulla manodopera come essere-specie (non è casuale che marxisti recenti, come Althusser, abbiano cercato di riformulare l marxismo spogliandolo di ogni categoria umanista). L'umanesimo è il fondamento di tutte le teorie politiche lasciateci in eredità dal diciannovesimo secolo. Rifiutandolo, il post-strutturalismo ha messo in questione non solo i presupposti fondamentali di tali teorie, ma anche l'idea stessa che la teoria politica richieda in realtà dei fondamenti. Per questo motivo il post-strutturalismo viene spesso scambiato per un relativismo estremo o per una forma di nichilismo.
Tuttavia, non è in favore del caos che il post-strutturalismo ha rifiutato la nozione di fondamenti, umanistici o di tipo diverso, per la propria teorizzazione politica. Quello che invece ha offerto, sono delle precise analisi dell'oppressione, così come essa opera secondo tutta una serie di registri.
Nessuno dei post-strutturalisti sostiene di offrire delle prospettive insuperabili sull'oppressione; anzi, le loro analisi sollevano dei dubbi sulla coerenza del concetto di una prospettiva insuperabile nella teoria politica. Essi preferiscono impegnarsi in quella che è stata spesso definita "micropolitica": una teorizzazione politica peculiare di regioni, tipi o livelli di attività politica, ma che non pretende di offrire una teoria politica generale. Offrire una teoria politica generale, infatti, andrebbe contro il loro comune assunto, secondo il quale l'oppressione deve essere analizzata e combattuta sui molti registri e nei molti nessi nella quale viene scoperta. Sarebbe come invitare a tornare ai problemi creati dall'umanesimo, che è diventato uno strumento di oppressione proprio nella misura in cui si è fatto un fondamento concettuale per il pensiero politico o sociale. Per i post-strutturalisti c'è uno Stalin in attesa dietro ogni teoria politica generale: o ci si conforma ai concetti sui quali essa si basa, oppure bisogna essere cambiati o eliminati a favore di tali concetti. Nella teoria politica, in breve, il fondazionismo è inseparabile dalla rappresentazione.
E' questa la trappola di un umanesimo anarchico. Affidandosi all'umanesimo e alle sue basi concettuali, gli anarchici hanno precluso la possibilità di una resistenza da parte di coloro che non si conformano ai suoi dettati di soggettività normale. Non è quindi una sorpresa che, nella critica delle carceri fatta da Kropotkin, egli lodi Pinel come un liberatore dei pazzi, mancando di individuare i nuovi vincoli psicologici introdotti da Pinel e analizzati da Foucault nella Storia della follia (33). Per l'anarchismo tradizionale, l'abnormalità deve essere curata, invece che espressa; e anche se è molto più tollerante nei confronti della devianza dalle norme in materia di sessualità e degli altri comportamenti, rimane in un tale anarchismo il concetto della norma come prototipo del propriamente umano. Questo prototipo, hanno sostenuto i post-strutturalisti, non costituisce la fonte della resistenza contro l'oppressione nell'epoca contemporanea; anzi, con la sua unità e il suo operare concreto è una delle forme di una tale oppressione.
L'anarchismo tradizionale, nei suoi concetti fondazionali - e, inoltre, per il fatto stesso di possedere dei concetti fondazionali - tradisce le intuizioni che ne costituiscono il nucleo. L'umanesimo è una forma di rappresentazione e pertanto l'anarchismo, come critica della rappresentazione, non può essere costruito sulle sue basi. La teorizzazione post-strutturalista ha, in effetti, offerto un modo per liberarsi dalla trappola umanista, impegnandosi in una critica politica non fondazionalista. Tale critica rivela rivela come una teorizzazione radicale decentralizzata, non rappresentativa, può essere articolata senza basarsi su di un concetto o un'idea fondamentale, nel nome del quale offrire la propria critica. Rimane tuttavia una domanda che, non avendo ottenuto una risposta, mette in dubbio la nozione stessa di post-strutturalismo come critica politica. Se non è in nome dell'umanesimo o di qualche altro fondamento che la critica si produce, nel nome di cosa o di chi essa è una critica? Come possono i post-strutturalisti criticare le strutture sociali esistenti come oppressive, senza nemmeno un concetto di cosa venga oppresso o almeno una serie di valori che verrebbero meglio realizzati in un altro ordinamento sociale? Eliminando l'autonomia, perché inadeguata a svolgere il ruolo dell'oppresso nella critica politica, il post-strutturalismo ha eliminato il ruolo stesso e con esso la possibilità di una critica? In breve: può esistere una critica senza rappresentazione?
La risposta all'ultima domanda deve essere in un certo senso sì e in un certo senso no.. Non ci può essere critica politica senza un valore in nome del quale si critica. Bisogna in qualche modo dire che una pratica o un'istituzione sono sbagliati rispetto a un'altra.. Per metterla semplicemente, non vi può essere una valutazione senza valori, e dove ci sono valori, c'è rappresentazione. Per esempio, nella sua storia delle carceri, Foucault critica le pratiche adottate dalla psicologia e dal diritto penale per normalizzare gli individui. Le sue critiche si basano su un valore che può essere descritto come segue: non bisogna forzare il pensiero o l'azione di altri senza necessità. Lyotard può essere letto come promotore del valore, tra gli altri, di consentire la maggiore espressione possibile ai diversi generi linguistici. Poiché questi valori vengono ritenuti validi per tutti, alla base della teorizzazione post-strutturalista vi è una rappresentazione.
Tuttavia, questi valori non vanno contro il progetto anarchico di permettere alle popolazioni oppresse di decidere i loro obiettivi e i loro mezzi di resistenza nell'ambito dei registri della loro particolare oppressione. Essi non riducono le lotte combattute in un'area a quelle di un'altra e sono consoni a una resistenza decentralizzata e con un'autodeterminazione locale. I valori che infondono le opere di Foucault, Deleuze e Lyotard, non sono diretti alla formulazione dei me3zzi e dei fini degli oppressi considerati come una singola classe e puntano invece a favorire le lotte dei diversi gruppi, offrendo analisi, strategie concettuali, così come critiche politiche e teoriche. Foucault osserva che "L'intellettuale non deve svolgere il ruolo di colui che dà consigli. Spetta a coloro stessi che lottano e si dibattono di trovare il progetto, le tattiche, i bersagli che bisogna darsi. Quel che l'intellettuale può fare è dare strumenti di analisi" (34). Il post-strutturalismo lascia la decisione di come gli oppressi devono determinare se stessi agli oppressi, limitandosi a fornire loro gli strumenti intellettuali che potranno risultare utili durante il cammino. E per coloro i quali sostengono che perfino i valori minimi post-strutturalisti sono troppo e rifiutano di essere rappresentati come persone le quali pensano che gli altri non dovrebbero essere forzati senza necessità, o vorrebbero consentire agli altri una loro espressione, i post-strutturalisti non hanno niente da offrire come confutazione. Cercare una teoria generale (fuori da ogni conflitto logico o da ogni incoerenza tra valori specifici) nel contesto della quale collocare tali valori, significa impegnarsi ancora una volta nel progetto di costruire dei fondamenti e di conseguenza di un progetto di rappresentazione. Oltre il punto dei valori locali che consentono di resistere lungo una serie di registri diversi, non vi è più teoria, ma solo lotta (35).
Pertanto, la teoria post-strutturalista è in effetti anarchica. Essa infatti è più coerentemente anarchica di quanto la teoria anarchica tradizionale non abbia dato prova di essere. La fonte teorica dell'anarchismo - il rifiuto della rappresentazione mediante mezzi politici o concettuali al fine di ottenere l'autodeterminazione lungo tutta una serie di registri e a diversi livelli locali - trova la più precisa articolazione dei propri fondamenti nei teorici politici post-strutturalisti. A sua volta, il post-strutturalismo può essere visto, invece che come qualcosa che contiene un miscuglio di analisi senza rapporto tra di loro, come rientrante nell'ampio movimento dell'anarchismo. Reiner Schurmann aveva ragione a definire il luogo di resistenza in Foucault, come un "soggetto anarchico" che lotta contro "la legge della totalizzazione sociale" (36).
Lo stesso si potrebbe dire di Deleuze e Lyotard. Il tipo di attività intellettuale promosso dagli anarchici tradizionali ed esemplificato dai post-strutturalisti, consiste in analisi specifiche piuttosto che in una critica complessiva. Gli anarchici tradizionali segnalavano i pericoli di una dominanza dell'astrazione; i post-strutturalisti hanno tenuto conto di questi pericoli in tutte le loro opere.
Hanno prodotto un corpo teorico che si rivolge a un'epoca che ha visto troppa rappresentazione politica e troppo poca autodeterminazione.
Quello che sia l'anarchismo tradizionale che il post-strutturalismo contemporaneo cercano è una società - o meglio, una serie intersecantesi di società - nella quale alle persone non venga detto chi sono, cosa vogliono e come vivranno, essendo esse in grado di decidere queste cose da sole. Queste società costituiscono un ideale e, come i post-strutturalisti riconoscono, un ideale probabilmente impossibile.
Ma è nei tipi di analisi e nelle lotte che un tale ideale promuove - analisi e lotte mirate ad aprire spazi concreti di libertà in campo sociale - che risiede il valore della teoria anarchica, sia tradizionale che contemporanea.

  • 1) Gérard Raulet, Strutturalismo e Poststrutturalismo. Intervista a Michel Foucault (1983), trad. it. In Franco Riccio-Salvo Vaccaro (a cura di), Adorno e Foucault, ILA Palma, Palermo, 1990, p. 96
  • 2) Colin Ward, Anarchia come organizzazione; trad. it. Antistato, Milano, 1976, p.200.
  • 3) Cfr. ad esempio Peter Dews, Logics of disintegration, Verso, London, 1987; Jürgen Habermas, Il discorso filosofico della modernità, trad. it. Laterza, Bari, 1987 sul relativismo normativo; José Merquior, Foucault, trad. it. Laterza, Bari, 1988, sul nichilismo. Per resoconti del dibattito Habermas-Lyotard per il quale è un tema centrale, cfr. David Ingram, Legitimacy and the Postmodern Condition; the political thought of Jean-François Lyotard, "Praxis International", VII, nn. 3/4, inverno 1987-88, pp 268-305; Stephen Watson, Jürgen Habermas and Jean-François Lyotard: Postmodernism and the crisis of rationality, "Philosophy and social criticism", X n. 2, 1984, pp. 1-24.
  • 4) Ovviamente, non è necessario procedere in questo ordine. Comunque, la filosofia politica contemporanea - sia europea che anglo-americana - è stata guidata dal predominio di questi tre elementi interconnessi reciprocamente, con Rawls e Habermas che offrono probabilmente gli esempi più critici.
  • 5) Per un esame storico del conflitto, cfr. James Joll, Gli anarchici, trad. it. Il Saggiatore, Milano, 1970.
  • 6) Mikhail Bakunin, Selected writings, Cape, London, 1973, p. 253.
  • 7) Si può sostenere che, dato che ogni amministrazione concerne decisionalità, anche una rappresentanza amministrativa esige un trasferimento di potere; il mutamento, quindi, da rappresentanza amministrativa a rappresentanza politica è una questione di gradazione, più che di genere. Ciò è vero; ma è solo un altro modo di affermare che la politica non è scienza. Delegare una quantità minima di potere decisionale al corpo amministrativo non significa dismettere le decisioni fondamentali della propria vita pubblica. Per dirla altrimenti, la decisionalità anarchica può essere un fine relativo e non assoluto, ma in quanto fine è differente dalla democrazia liberale così come dalla dittatura del proletariato.
  • 8) Cfr. Mikhail Bakunin, Dio e lo Stato, trad. it. Genova, 1966.
  • 9) Per una visione attuale di alcuni fronti di lotta anarchica, cfr. Howard Ehrlich, Carol Ehrlich, David De Leon e Glenda Morris (Eds.), Reinventing Anarchy: what are anarchists thinking these days?, Routledge & Kegan Paul, London 1979.
  • 10) Peter Kropotkin, Anarchist communism, in Kropotkin Revolutionary pamphlets, ed. Roger Baldwin, Dover, New York, 1970, p. 51.
  • 11) Colin Word, op. cit., p. 67
  • 12) Peter Kropotkin, Anarchist morality, in op. cit., p. 105.
  • 13) Nicolas Walter, About anarchism, in Reiventing anarchy, cit., p. 43
  • 14) Max Stirner e Benjamin Tucker ne sono le figure rappresentative.
  • 15) Kropotkin, nel Mutuo appoggio (trad. it. Anarchismo, Catania, 1979), replica alla tesi darwiniana della selezione naturale, sostenendo l'esistenza in tutti gli animali di uno spirito cooperativo teso a proseguire la specie, accanto allo spirito competitivo. "La socievolezza e la necessità del mutuo appoggio e sostegno sono talmente parte integrante della natura umana che in nessuna fase della storia rintracciamo uomini vivere in piccole famiglie isolate, in conflitto reciproco per i mezzi di sussistenza" (p. 118, ediz. Ingl., Heinemann, London, 1902).
  • 16) "Il progetto rivoluzionario deve prendere le mosse da un fondamentale principio anarchico: ogni essere umano normale ha la competenza per gestire i problemi della società e, più specificamente, della comunità di cui è membro", in Murray Bookchin, Per una società ecologica, trad. it., Eleuthera, Milano, 1989, p. 189.
  • 17) Mikhail Bakunin, Dio e lo stato, cit. (p. 31 dell'ediz. Ingl., Dover, New York, 1970).
  • 18) Gli intellettuali e il potere. Conversazione tra Michel Foucault e Gilles Deleuze, trad. it. In Michel Foucault, Microfisica del potere, Einaudi, Torino, 1977, p.110-1.
  • 19) Michel Foucault, Tecnologie del sé, trad. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1992, p. 5.
  • 20) Jean-François Lyotard, Capitalismo energumeno, in A partire da Marx e Freud, trad. it. Multhipla, Milano, 1979, p. 173
  • 21) Gilles Deleuze-Felix Guattari, L'anti-Edipo, trad. it. Einaudi, Torino, 1975, p.32
  • 22) Gilles Deleuze-Claire Parnet, Conversazioni, trad. it. Feltrinelli, Milano, 1980, p.156
  • 23) Cfr. ad esempio Richard Rorty, La filosofia e lo specchio della natura, trad. it. Bompiani, Milano, 1986, il testo più rilevante che sottolinea l'importanza del sociale nell'ambito epistemologico.
  • 24) Cfr. Max Horkheimer-Theodor W. Adorno, Dialettica dell'illuminismo, trad. it. Einaudi, Torino, 1972
  • 25) Michel Foucault, Sorvegliare e punire, trad. it. Einaudi, Torino, 1976, p. 26.
  • 26) Michel Foucault, Storia della sessualità, Vol. I, La volontà di sapere, trad. it. Feltrinelli, Milano, 1978, p. 52.
  • 27) Sebbene in questa sede prendiamo in considerazione soltanto Capitalismo e schizofrenia, l'interesse di Deleuze all'energetica risale sin al suo secondo libro, Nietzsche e la filosofia, in cui segue l'analisi nietzschiana della soggettività nella sua costituzione da parte di forze attive e reagenti.
  • 28) Gilles Deleuze-Felix Guattari, op. cit., p. 115.
  • 29) Gilles Deleuze-Felix Guattari, Mille piani, trad. it Istituto Enciclopedia Italiana, Roma, 1987, Vol. I, p. 3 e seg.
  • 30) Per un'analisi complessiva dell'energetica di Lyotard, cfr. il suo Economia libidinale, trad. it. Colportage, Firenze, 1978; per la sua critica alla lettura edipica di Deleuze e Guattari, cfr. il suo Capitalismo energumeno, op. cit.
  • 31) Jean-François Lyotard-Jean-Loup Thébaud, Au Juste, Bourgois, Paris, 1979, p. 35
  • 32) Jean-François Lyotard, Il dissidio, trad. it. Feltrinelli, Milano, 1985, pp. 24-25.
  • 33) Petr Kropotkin, Le prigioni e la loro influenza morale sui detenuti, in op. cit.; Michel Foucault, Storia della follia, trad. it. Rizzoli, Milano, 1963.
  • 34) Michel Foucault, Microfisica del potere, cit., p. 144.
  • 35) Andrebbe rilevato che è non solo politicamente inelegante, ma altresì teoricamente impossibile cercare di fondare una serie di valori per respingerne uno professato da altri. Non si potrebbe rifiutare il valore centrale di Hitler - crudamente: gli ebrei erano la causa di tutti i guai dell'Europa e andavano soppressi - se egli potesse rendere logicamente coerenti con quello tutti gli altri suoi valori, il che è certamente possibile in linea di principio.
  • 36) Reiner Schürmann, On costituing oneself as an anarchist subject, "Praxis International", VI, n. 13, 1986, p. 307.